Un disastro senza eguali. Non ci sono altri termini per definire ciò che, esattamente un anno fa, era successo al Renzo Barbera di Palermo. La Macedonia del Nord, con un gol allo scadere, eliminava l’Italia dalla corsa per la qualificazione ai Mondiali. I balcanici riuscirono così a staccare il pass per l’ultimo spareggio, quello con il Portogallo (poi qualificatosi).

Il dato di fatto era, però, che l’Italia, per la seconda volta, consecutiva si era trovata esclusa da quella competizione che a lungo è stata la sua casa. Lo testimonianno i quattro Mondiali vinti, le finali disputate e il ricordo di manifestazioni da partecipante di primo livello.

Restare fuori, ancora una volta, è stato l’ennesimo campanello d’allarme di un sistema che non procedure più talenti come un tempo. Le generazioni degli anni ’80 e ’90 sono rimaste sensibilmente lontane per qualità e abbondanza da quelle degli anni ’60 e ’70. Ed è probabilmente quello l’elemento che più di ogni altra cosa sta condizionando questo momento negativo del calcio italiano, interrotto solo dalla bellissima parentesi dell’Europeo 2020 (giocato nel 2021).

Il fatto che, ad un anno di distanza, l’attualità parli di una sconfitta casaliga contro l’Inghilterra non è sicuramente il massimo. Ma in questi casi ci sono due strade: continuare a piangersi addosso o iniziare a trarre insegnamenti da altre scuole calcistiche che hanno saputo affrontare e vincere il momento di crisi. Lo hanno fatto i francesi, gli inglesi e i tedeschi. Più o meno tutti sono riusciti ad assestarsi su un livello superiore a quello italiano nella produzione di calciatori.

I dati dicono dal 2006 in avanti l’Italia è uscita per due volte nel girone dei Mondiali e per due volte non si è qualificata. Quasi vent’anni in cui appare chiaro che il livello di un tempo è lontano.

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