Si parla molto di Superlega, ma poco di calcio italiano e delle sue difficoltà

Da quando il calcio è diventato televisivo si può dire che le categorie maggiori abbiano inghiottito tutte le altre. La possibilità di vedere grande spettacolo da casa ha in un certo senso tolto la possibilità alle piccole realtà locali di attirare sugli spalti dei propri stadi spettatori. Ne è venuto fuori che, oggi più che mai, le categorie inferiori soffrano i costi.

E quando si parla di calcio italiano sempre più povero troppo spesso si parla di squadre che faticano in Europa e assai poco di realtà piccole che hanno difficoltà a gestire la loro attività. Ed è per questo che da tantissimo tempo si parla di una riforma che, in linea di massima, si basa su una costante: ridurre le squadre, probabilmente affinché la torta sia da dividere in meno fette.

Lo si dice anche in Serie A, dove qualcuno mette in rilievo che in realtà servirebbe a evitare che ci siano partite di basso livello e a far giocare meno squadre alle formazioni impegnate in Europa, tutelando la loro competitività. Da anni si parla di una massima serie a diciotto o addirittura a sedici squadre, eppure si è sempre a questo punto.

Chi, invece, ha un formato storico a venti squadre è la Serie B e quello non sembra in discussione. Dove, invece, le cose potrebbero cambiare in maniera radicale è la Serie C. Fino a qualche anno fa c’erano due gironi di C1 e ben tre di C2. Adesso al categoria è unica ed è divisa in tre giorni. Secondo alcuni sessanta squadre sono troppe e si è sentito anche di un’ipotesi che si possa addirittura scendere a un solo girone da 18 squadre, magari con una categoria a fare da cuscinetto tra l’ultima serie professionistica ed il dilettantismo (oggi la Serie D).

Si attende però il momento in cui si avrà un quadro concreto delle cose.

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